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lunedì 20 novembre 2023

WHISTLEBLOWING: LA SENTINELLA DELL'ETICA E DELLA LEGALITÀ

SCENARIO

di Maria Lanzetta

Manca meno di un mese al 17 dicembre, termine ultimo per la gran parte delle organizzazioni (pubbliche e private), per mettersi in regola e ottemperare agli obblighi previsti dal decreto legislativo n. 24/2023, la normativa europea che introduce la nuova disciplina del whistleblowing, entrata in vigore lo scorso marzo.

In realtà di whistleblowing se ne sente parlare già da qualche tempo e, al di là della termine, forse un po’ inquietante – la cui traduzione in italiano è ‘soffiata’ -, si tratta di uno strumento cruciale per rafforzare la governance aziendale. Di fatto, consiste nella segnalazione di comportamenti illeciti all'interno di un'organizzazione, una sorta di ‘sentinella etica’, la cui funzione è quella di garantire trasparenza, integrità e responsabilità, valori ai quale oggi non è più possibile abdicare, contribuendo a creare un ambiente di lavoro sano e di conformità alle normative. Come si diceva prima, infatti, una solida governance aziendale richiede la massima trasparenza nelle operation, e il whistleblowing consente ai dipendenti e a tutti gli stakeholder (compresi collaboratori esterni e consulenti) di segnalare attività sospette o illegali senza timore di ritorsioni: questo flusso di informazioni aperto aiuta a denunciare potenziali irregolarità e a garantire un clima di fiducia all'interno dell'organizzazione. In effetti, la segnalazione tempestiva di pratiche discutibili riduce i rischi legali per un’impresa e, in molti casi, può prevenire o contenere possibili conseguenze penali derivanti da comportamenti non etici o illeciti, offrendo una via per risolvere le questioni internamente, prima che diventino pubbliche o sfocino in procedimenti giudiziari.  In questo senso, il whistleblowing concorre a costruire una cultura aziendale basata sull'etica e l'integrità, perché se i dipendenti sono incoraggiati a segnalare comportamenti scorretti, si sentono più tutelati e parte di un ambiente in cui la correttezza è valorizzata,  e ciò contribuisce a preservare la reputazione dell'azienda e a stabilire standard elevati per tutti i membri dell'organizzazione.

Le aziende già impegnate in pratiche socialmente responsabili  e che hanno iniziato ad adottare politiche di whistleblowing come parte integrante della loro Corporate Social Responsabiliy (CSR), stanno mostrando un impegno concreto nei confronti dell'integrità e della responsabilità, generando fiducia tra i consumatori, gli investitori e gli altri stakeholder, costruendosi così una reputazione solida e duratura. Nel frattempo, diventando il whistleblowing obbligatorio, le aziende dovranno necessariamente predisporre un sistema di gestione del whistleblowing adeguato e certificato, che possa permetterne un utilizzo agevole e corretto e, a questo scopo, dovranno mettere  a disposizione  di tutti i dipendenti e collaboratori informazioni chiare sul canale adottato e sulle  procedure da seguire, per effettuare le segnalazioni in modo sicuro e anonimo, tutelandone rigorosamente la privacy. Il whistleblowing, in definitiva, oltre a diventare un obbligo di legge per le imprese, rappresenta un pilastro fondamentale per una governance aziendale efficace, promotrice di una cultura di integrità, trasparenza e legalità. 

venerdì 16 giugno 2023

CHATGPT: OPPORTUNITÀ O MINACCIA?

TECNOLOGIA

di Maria Lanzetta

In questi ultimi anni l'intelligenza artificiale generativa ha subìto una profonda e rapida evoluzione, passando dalle primissime applicazioni di chatbot, basate su un set di regole ben definite ma statiche e circoscritte, a piattaforme conversazionali più sofisticate, guidate da un sistema di apprendimento automatico derivato dall’interazione con gli utenti, fino ad arrivare a ChatGPT

ChatGPT, come è ormai noto, è un’applicazione di intelligenza artificiale conversazionale estremamente avanzata - sviluppata dalla società di ricerca OpenAI -, che utilizza una tecnologia di elaborazione del linguaggio naturale (NLP), definita Generative Pre-trained Transformer 3 (GPT-3). Essa utilizza un modello di rete neurale denominato ‘trasformatore’, il quale è stato addestrato su un consistente database di testo. Nel momento in cui viene fornito un input o un prompt a ChatGPT, il modello di rete neurale analizza tale testo e usa le informazioni apprese dal database, per generare in modo automatico un contenuto di qualità simil-umana. Per cui, quando un utente inserisce una richiesta, ChatGPT dovrebbe essere in grado di generare una risposta pertinente e coerente all’interno della conversazione. A differenza dei comuni chatBot, generalmente utilizzati per attività specifiche quali, per esempio, il servizio clienti su portali, ChatGPT può essere impiegato per molte attività diverse e in svariati contesti, e la sua funzione non si limita solo a rispondere a domande puntuali, ma è anche in grado di svolgere compiti e attività molto più elaborate. Praticamente, è un sistema di intelligenza artificiale che si avvicina tantissimo al modello umano, capace di conversare con le persone, interagirci in modo abbastanza logico e coerente, essendo stato istruito per dialogare con l’utente, attraverso l’utilizzo di algoritmi di apprendimento automatico: questo gli consentirebbe, quindi, di rispondere adeguandosi al contesto del dialogo. Di conseguenza, le risposte appaiono analoghe a quelle di una persona, e danno all’utente la sensazione di una conversazione interattiva, in contrapposizione alla tradizionale ricerca unidirezionale, utilizzata solitamente con i vari browser di navigazione su Internet.

Una guerra tra titani
Ora, mentre OpenAI lo scorso novembre catalizzava l’attenzione del mondo intero con il lancio di ChatGPT, a dicembre Google, sentendosi minacciata nella sua posizione di leader nell’ambito del “Search”, decideva di dare un’accelerata alle attività di sviluppo di prodotti AI-based e, per giustificare il suo ritardo, dichiarava di voler avere un approccio più prudente rispetto ai concorrenti, criticandone l’imprevedibilità e l’inaffidabilità della tecnologia. Così soltanto 6 mesi dopo - lo scorso maggio -, Google annunciava Bard, la sua nuova applicazione basata su AI generativa, costruita su un modello linguistico di grandi dimensioni (LLM) noto come LaMDA (Language Model for Dialogue Applications) ottimizzato su Transformer, architettura di rete neurale ideata da Google nel 2017, su cui è stata, peraltro, modellato anche ChatGPT. Il punto di forza di Bard sta nel fatto che integra tutti gli strumenti a marchio Google, peccato, però, che al momento è stata rilasciata in 180 paesi ma non in Europa (presumibilmente a causa delle norme restrittive GDPR). Nel frattempo Microsoft, anticipando Google e battendola sul tempo, nei primi giorni dello stesso mese presentava il suo nuovo chatbot Bing Chat GPT-4, che il colosso americano ha aperto gratuitamente a tutti, senza doversi registrare in una lista di attesa, infatti basta accedere alla nuova versione di Bing o Edge con il proprio account Microsoft, per provare la nuova applicazione. In realtà, il modello su cui si basa Bing Chat è Prometheus, che di fatto rappresenta un’evoluzione dello stesso GPT-4,  caratterizzato da modelli di addestramento che permettono di generare contenuti e dati più aggiornati, quasi in tempo reale. E poi c’è Amazon che, dopo aver avuto un ruolo da pioniere con Alexa, l’assiste vocale intelligente basato su cloud, ha deciso di cavalcare anch’essa l’onda della Generative AI, puntando a creare applicazioni di AI generativa integrate, in collaborazione con Hugging Face velocizzando il processo di formazione, ottimizzazione e diffusione di modelli di linguaggio combinato con elementi visivi. Ovviamente, la Cina non è stata a guardare ed è entrato in gioco Baidu (per intenderci il corrispondete ‘Google’ cinese) con Ernie bot, un chatbot che per ora è in fase di test ed accessibile su invito, anch’esso basato su un modello linguistico addestrato con AI generativa, in grado di simulare risposte e conversazioni “intelligenti” con gli utenti. Un’applicazione che in Cina sembrerebbe non aver riscontrato grande entusiasmo, forse perché, inevitabilmente, sottoposta alle censure del Governo cinese che, notoriamente, non darebbe molto spazio alla libera informazione.

Potenzialità e ambiti applicativi
Indubbiamente le aree di applicazione che potrebbero trarre grandi benefici dall’adozione di piattaforme di AI conversazionale generativa come ChatGPT sono numerose, a partire dall’assistenza clienti, in cui chatbot e consulenti virtuali sono in grado di gestire un'ampia gamma di domande e richieste, migliorando l'efficienza, riducendo i tempi di attesa e aumentando il grado di soddisfazioni dei clienti. Analogamente nel settore finanziario, per effettuare analisi di dati, previsione dei trend di mercato e nella gestione del rischio, può diventare un utile supporto per prendere decisioni su investimenti e per la gestione del portafoglio. Un altro esempio di potenziale utilizzo di ChatGPT è anche nel settore medico-sanitario, dove può essere impiegata nella diagnosi e nel trattamento di malattie, nella personalizzazione della terapia e nella ricerca di nuovi farmaci. Potremmo andare avanti con una lunga lista di ambiti applicativi, in cui l’AI generativa può rivelarsi utile ed efficace, ma dove ChatGPT sembrerebbe essere uno strumento davvero rivoluzionario, è soprattutto in tutte quelle attività che richiedono sviluppo di contenuti: nell’elaborazione di testi coerenti su molteplici argomenti, da articoli di carattere politico, di cronaca, tecnici, fino ad arrivare alle ricette di cucina. Non solo, questa applicazione dovrebbe essere in grado di svolgere attività creative quali scrivere email, generare post social, tradurre e addirittura comporre poesie; gli algoritmi su cui si basa, inoltre, consentono di correggere errori, eseguire calcoli, programmare e molto altro ancora. Tutto questo sembrerebbe fantastico!
Ma possiamo fidarci completamente di tutto quello che ci ‘racconta’ ChatGPT? E, soprattutto, quanto può essere pericoloso uno strumento di questo tipo?

Limiti e minacce
ChatGPT è stato lanciato lo scorso novembre e ha generato immediatamente grande consenso e apprezzamento, per la sua capacità di fornire risposte dettagliate e apparentemente molto accurate, risultando, come si diceva sopra, molto vicine a una conversazione umana. E’ fuori dubbio che si tratti di un modello linguistico estremamente ampio, dal momento che è basato su oltre un triliardo di parametri ed è in grado di elaborare miliardi di parole in pochi secondi, tuttavia, nonostante ciò, con il suo crescente utilizzo, si è incominciato a mettere in discussione la sua totale attendibilità. In effetti, bisogna stare attenti a non sottovalutarne alcuni limiti, dall’affidabilità delle risposte alla difficile verificabilità delle fonti. In realtà, sebbene ChatGPT venga addestrato su una grande quantità di dati e di testo, attualmente non ha una comprensione intrinseca del mondo reale, pertanto può avere difficoltà a interpretare il contesto di una conversazione, a cogliere le sfumature del linguaggio umano, espressioni idiomatiche o modi di dire, così come non dispone di buon senso: questo fa sì che possano essere generate risposte imprecise o irrilevanti. Un’altra limitazione di ChatGPT è che non tiene conto degli eventi in corso e neanche di quelli più recenti, nel senso che non conosce tutte le informazioni generate dopo il 2021. Quindi, se la necessità è quella di avere informazioni aggiornate, non solo si rischia di avere risposte poco attendibili, ma addirittura fuorvianti. Da considerare, inoltre, che ChatGPT è più efficace nel fornire risposte specifiche a domande precise e circoscritte, mentre lo è meno in quelle aperte, così come in conversazioni più astratte, contenenti elementi di carattere emotivo. Alla luce di ciò, è fondamentale tener ben presente che questo tipo di applicazione può rappresentare, certo, un enorme supporto in quelle attività di tipo standard e ripetitive, tipicamente noiose e molto dispendiose di tempo, ma necessita sempre dell’intervento umano. Per cui, una volta che un testo viene generato sulla base di determinati input, sarà comunque necessario intervenire con delle modifiche, per adattarlo alle esigenze specifiche di un particolare contesto, o per inserire informazioni importanti che il modello potrebbe ignorare. Inoltre, almeno per il momento, ChatGPT non può sostituire l'empatia umana, quindi è importante fare attenzione al tono e allo stile del testo che viene elaborato. A ciò si aggiungono, poi, quei fenomeni che in gergo sono chiamati ‘allucinazioni’, ovvero risposte totalmente infondate, generate da una sorta di mescolanza di realtà e finzione: questo succede soprattutto quando si chiedono compiti particolarmente complessi, è quasi come se ChatGPT andasse in tilt.
E’ evidente, dunque, che la conoscenza umana e il buon senso abbiano un ruolo fondamentale e imprescindibile nell’utilizzo di tali applicazioni; insomma non possiamo prendere per ‘oro colato’ tutto ciò che ChatGPT ci racconta. Solo la capacità di discernimento che si fonda sulle nostre conoscenze, competenze ed esperienze, possono guidarci in un utilizzo virtuoso di tali strumenti, i quali possono essere estremamente pericolosi e fuorvianti soprattutto per i giovani utenti, se non vengono educati a sviluppare un proprio bagaglio di conoscenze – magari costruite su fonti più tradizionali e attendibili – e una propria capacità critica.
E poi c’è la delicata questione della privacy, a proposito della quale, lo scorso marzo in Italia era arrivato lo stop del Garante della Privacy che aveva bloccato l’uso di ChatGPT fino al 30 aprile, termine entro cui OpenAI avrebbe dovuto provvedere a implementare procedure di raccolta e trattamento dei dati secondo le normative in vigore; a informare chiaramente gli utenti sul trattamento dei loro dati e ottenere il loro consenso esplicito; a garantire che gli utenti possano esercitare il diritto alla cancellazione dei dati personali e a monitorare costantemente i rischi per la privacy: lo scorso marzo, infatti, si era verificato un data breach che ha causato la dispersione di dati di oltre 100.000 utenti. A tutto questo si aggiungeva un altro aspetto che ha allarmato il Garante della Privacy, relativamente all’utilizzo dell’applicazione da parte di utenti giovani.  Effettivamente sembrerebbe che, per quanto le regole di ChatGPT proponessero l’utilizzo del software dai 13 anni in su, non ci sarebbero stati sufficienti filtri per controllare l'età di chi lo usa. E la tutela dei più giovani è una questione a cui il Garante ha deciso di dare una priorità assoluta, perché è molto alto il rischio che le nuove generazioni “native digitali” ne facciano un uso indiscriminato, senza un minimo di consapevolezza e senso critico. Di fronte a tale disposizione, OpenAI aveva fin da subito manifestato la propria volontà a collaborare, in modo tale da ottenere la revoca del provvedimento e, quindi, poter rendere nuovamente accessibile l’App nel territorio italiano. 
Attualmente ChatGPT è ritornata operativa in Italia, e lo stesso Garante con un comunicato ufficiale, ha fatto sapere che la controversia con OpenAI si è conclusa con pieno adempimento, da parte dell'azienda americana, alle indicazioni dell'Autorità contenute nel precedente provvedimento. Adesso, al momento della registrazione all’applicazione, la prima cosa che salta all’occhio sembrerebbe essere la richiesta agli utenti di confermare di avere più di 18 anni oppure di averne più di 13, nel quale caso è necessario il consenso dei propri genitori. Sono presenti, inoltre, link all'informativa sulla privacy e a un articolo che spiega come viene sviluppato e ‘addestrato’ il massiccio modello linguistico che sta alla base del funzionamento di ChatGPT. E’ stata, inoltre, gestita anche la questione delle cronologia, per cui gli utenti italiani possono, sì, mantenere lo storico delle proprie conversazioni, ma hanno anche modo di cancellare agevolmente tutta la cronologia dall’impostazione del proprio profilo.


ChatGPT ed etica
Ora, al di là dei vari aspetti in materia tecnica e di diritto, è opportuno soffermarsi a fare qualche riflessione di carattere etico e morale. Tanto per cominciare, una minaccia fin troppo palese è che applicazioni, quale ChatGPT e simili, rischino di determinare un appiattimento del cervello umano, portando le persone a impigrirsi mentalmente e a farci un eccessivo affidamento, con il pericolo di impoverire il proprio pensiero critico e indebolire le proprie capacità di discernimento. Non è un caso che i pionieri e i promotori di tale tecnologia stiano facendo un passo indietro: recentemente infatti, alcuni dei più grandi esperti al mondo nel campo dell’Intelligenza Artificiale hanno lanciato un vero e proprio appello, per mettere in pausa lo sviluppo di ChatGPT e analoghe applicazioni, per definire a monte regole condivise e protocolli di sicurezza e di Governace, affinché  l'AI non finisca per sopraffare l’umanità, causando un profondo cambiamento nella nostra civiltà. Tra i firmatari di questa petizione ci sono nomi illustri, a partire proprio da Elon Musk, CEO di Tesla, SpaceX, Twitter e tra i fondatori proprio di OpenAI insieme a Sam Atman; Steve Wozniak, co-fondatore di Apple, così come luminari dell’intelligenza artificiale quale Yoshua Bengio, vincitore del premio Turing (una specie di Nobel per l’Infomation Technology), e lo storico israeliano Yuval Noah Harari, noto per i suoi bestseller sulla storia dell’uomo e della civiltà. Tutte voci autorevoli che hanno preso coscienza del problema e si sono dichiarati seriamente allarmati su  una tecnologia, che si sta dimostrando molto più pervasiva e sovrastante di quanto ci si potesse immaginare. Lo stesso Geoffrey Hinton, considerato uno dei maggiori esperti di reti neurali, nonché uno dei padri dell’AI, ha deciso di lasciare Google, dove per 10 anni ha dato un grande contributo in termini di ricerca e innovazione, per potere esprimere liberamente le proprie preoccupazioni sull'evoluzione dei sistemi AI e sull’ondata di disinformazione a riguardo. Hinton, infatti, teme che l’intelligenza artificiale possa sconvolgere il mercato del lavoro, sostituendosi prepotentemente all’uomo, e paventa il rischio, fin troppo concreto, che la nostra esistenza possa essere schiacciata da un fenomeno ‘fuori controllo’, a  causa di sistemi che l’umanità non sarebbe più in grado di gestire e dominare.
Ora, al di là di possibili scenari apocalittici, neanche tanto remoti,  attualmente stiamo parlando, di fatto, di una tecnologia dirompente e pervasiva su cui, verosimilmente, nel corso dei prossimi 10 anni, si vedranno notevoli progressi in termini di capacità ed efficienza, ma non dobbiamo dimenticare che deve essere sempre l’uomo a governarla e non il contrario, altrimenti si corre il rischio di una vera e propria regressione dell’essere umano. Quindi, ben venga ChatGPT con tutte le sue straordinarie e sorprendenti potenzialità, ma facciamone un utilizzo intelligente e consapevole, non abdichiamo completamente all’uso della nostre capacità intellettive e conoscitive … insomma non mandiamo in pensione anticipata il nostro cervello!

L'articolo è stato pubblicato su NewsImpresa di giugno


fonti: Intelligenzaartificialeitalia.net, Spremutedigitali.com, diritto.it, Il Sole 24 Ore,  Repubblica, Wired, today.it, Avvenire, Wall Street Italia

martedì 23 maggio 2023

L'AZIENDA SOSTENIBILE

SCENARIO

di Maria Lanzetta

La sostenibilità è attualmente uno degli argomenti più di tendenza, ma sebbene se ne parli sempre più spesso e nei contesti più disparati, siamo ancora lontani dall’adozione di un modello di sostenibilità virtuoso, sia nella vita privata sia nel lavoro. Per quanto siano sempre di più le aziende che stanno incominciando a sentire l’impellenza di uno sviluppo sostenibile, la strada da percorrere è ancora lunga.

Sette anni non sono molti e gli obiettivi definiti all’interno dell’Agenda 2030 dall’ONU sono tanti e ambiziosi, il tempo è poco e c’è ancora molto da fare. Oggi, intraprendere un percorso verso la sostenibilità non rappresenta più soltanto una scelta di vita, ma significa attuare un cambiamento radicale necessario, se teniamo alla nostra sopravvivenza e a quella dell’intero pianeta. Di fatto, essere sostenibili è diventato per le aziende una priorità e un elemento imprescindibile nella propria strategia che, se ben implementata, può generare indiscutibili vantaggi sia in termini di benessere aziendale – a beneficio dell’efficienza e della produttività -, sia in termini di percezione sul mercato e all’interno dell’intero ecosistema in cui un’impresa si colloca. Stiamo parlando di un nuovo modello di business che non solo permetta la sopravvivenza e la prosperità di un’impresa sul lungo termine, ma che sia focalizzato sull’ambiente, il benessere individuale, sociale e aziendale, basato su una gestione lungimirante e buone pratiche. Pertanto, non è sufficiente intraprendere iniziative “green” finalizzate soltanto all’efficienza energetica e a ridurre l’impatto ambientale, ma si tratta di adottare un approccio più completo e profondo che consideri il concetto di “sostenibilità” sotto diversi aspetti. Essere un’azienda sostenibile significa, dunque, diventare un’impresa attenta all’ambiente nella sua completezza, il cui obiettivo è quello di garantire uno sviluppo nel rispetto della salute del pianeta, del benessere sociale ed economico delle persone. Ed è su queste premesse che sono stati definiti i criteri ESG (Environmental, Social and Governance), ovvero i parametri di natura ambientale, sociale e di governance, utilizzati per definire strategie aziendali e per fare scelte responsabili a favore dell’ambiente e delle persone: è un nuovo paradigma che coinvolge tutte le diverse aree di un’organizzazione, dall’R&D, alle HR, alla Supply Chain, Operation, Finance e IT.

Sostenibilità aziendale nel concreto
La sostenibilità aziendale si fonda su un insieme di princìpi e di regole, che diventano parte integrante della strategia di un’impresa pensata sul lungo termine. In generale, un’azienda sostenibile, a prescindere dalla sua attività specifica – che sia un’industria manifatturiera o una società di servizi – deve condurre un business rispettoso dell’ambiente e delle persone, pianificando un serie di iniziative concrete, le quali vengono stabilite in base alla dimensione e alla tipologia dell’azienda, al contesto ambientale, sociale ed economico in cui questa opera.
Tanto per cominciare, la prima cosa da fare è tenere sotto controllo i propri consumi energetici e le emissioni di CO2, per rispondere sia agli standard di sostenibilità ambientale ed economica, sia alle richieste di un pubblico sempre più sensibile e attento a questo aspetto,  senza poi contare il risparmio in termini economici che ne deriva. A tale scopo, un’organizzazione deve essere in grado di monitorare costantemente il proprio carbon footprint (impronta di carbonio), ovvero l’indicatore ambientale che ne quantifica l’impatto in termini di emissioni di CO2 dirette o indirette. Per misurare la quantità di gas serra emessi da un’azienda, si fa riferimento alla classificazione degli  “Scope” proposti dal GHG (Greenhouse Gas) Protocol, i quali sono raggruppati in tre categorie: scope 1 relativo alle emissioni dirette derivanti dai vari asset aziendali; lo scope 2 inerente alle emissioni generate da energia elettrica, calore e vapore acquistati da terzi e consumati dall’impresa, lo scope 3 che riguarda le emissioni indirette prodotte lungo la catena del valore, a monte e a valle dell’attività dell’azienda (per esempio, fornitori e clienti).
Alla luce di quanto detto fin ora, puntare sempre più sull’utilizzo di fonti rinnovabili di energia rappresenta un passaggio obbligato: si può partire inizialmente con l’acquisto di certificati di compensazione delle emissioni di CO2 per ridurre il proprio carbon footprint; tali certificati, infatti, attestano la mancata emissione nell’atmosfera di una tonnellata di CO2  e generano dei “crediti di carbonio”, i quali vanno ad abbassare l’impronta di carbonio di un’azienda, dal momento che si ottengono attraverso l’implementazione di progetti finalizzati alla riduzione delle emissioni di gas serra. In una fase successiva, si può passare all’approvvigionamento di energia verde e pulita fornita da gestori specializzati, fino ad arrivare alla produzione in proprio di energia green, attraverso impianti fotovoltaici ed eolici.  In questo senso, una leva strategica è rappresentata dalle comunità energetiche, per cui un’impresa, che ha installato un impianto fotovoltaico sul proprio stabilimento, può condividere l’energia prodotta, vendendo quella in eccesso all’interno di una rete di utenti, che possono essere privati cittadini, enti, esercizi commerciali e produttivi; in questo modo, tra l’altro, un’organizzazione si crea un’ulteriore fonte di guadagno e di ritorno degli investimenti.
Un altro aspetto cruciale riguarda la mobilità e gli spostamenti, che incidono pesantemente sulle emissioni inquinanti legate alle varie attività aziendali. Per questo è fondamentale adottare una mobilità sostenibile che preveda, per esempio, l’uso di auto aziendali ibride o elettriche, oppure introdurre il car pooling e il bike sharing, così come incentivare l’utilizzo del trasporto pubblico, magari creando delle convezioni per tariffe agevolate con le società di trasporto urbano, suburbano e tra città. A tale riguardo, è altrettanto importante ottimizzare le trasferte lavorative e, lì dove possibile, sostituire meeting in presenza con quelli a distanza, così come adottare una modalità di lavoro ibrida che contempli smart working e presenza in ufficio.
Oltre alla diminuzione delle emissioni di gas serra, altre iniziative estremamente concrete, a favore della sostenibilità aziendale, consistono nella riduzione del consumo d’acqua, nello smaltimento corretto dei rifiuti aziendali, nell’utilizzo quanto più possibile di materiali riciclati e riciclabili. In effetti, in una logica green, una ruolo decisivo è rappresentato dall’impiego di soluzioni circolari, che permettono di allungare il ciclo di vita di materiali e prodotti, progettati in modo tale che siano riutilizzabili anche in altri campi applicativi, facilmente riparabili, ritardandone la sostituzione e lo smaltimento. Entrando, poi, nello specifico dell’ambito manifatturiero, è importantissimo ai fini produttivi, utilizzare materiali a basso impatto ambientale e dotarsi di certificazioni che attestino la provenienza sostenibile delle materie prime.

Un tassello fondamentale all’interno di una strategia green è rappresentato dall’edilizia sostenibile. In effetti, secondo la direttiva europea sul rendimento energetico nell’edilizia (EPBD), sembrerebbe che gli edifici siano responsabili di circa il 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni di CO2 nell’UE. In quest’ottica, è indispensabile monitorare e ottimizzare l’utilizzo dei sistemi di riscaldamento e di raffreddamento degli ambienti, così come l’impiego di energia (soprattutto nel caso di aziende di produzione): a tale scopo oggi è possibile avvalersi di tecnologie, quali i software BEMS (Building Energy Management System), che consentono la gestione e il monitoraggio automatizzati dell’approvvigionamento energetico degli edifici, ottimizzandone il consumo. A ciò si aggiunge l’adozione di prassi virtuose come, per esempio, prediligere gli open-space e minimizzare gli uffici singoli, ottimizzando così l’utilizzo di aria condizionata, di sistemi di riscaldamento e dell’illuminazione. Inoltre, l’impiego di vetrate come separatori degli ambienti – al posto di strutture in muratura e cartongesso – consente di sfruttare meglio la luce naturale e di diminuire il ricorso all’illuminazione artificiale. Infine, favorire quanto più possibile spazi verdi intorno agli edifici, permette di preservare la flora e contribuisce a creare un ambiente più salubre, a beneficio della salute dei dipendenti e collaboratori.

I vantaggi per un’azienda sostenibile
I benefici che le imprese possono ottenere grazie all’adozione di un modello di business sostenibile, sono numerosi e soprattutto tangibili, a partire dalla riduzione dei costi; si consideri, infatti, che migliorare l’efficienza energetica aziendale può garantire un risparmio fino al 40% , permettendo di ottimizzare i vari processi senza impattare sulla produttività, rispettando il comfort dei dipendenti e della vita aziendale. Va da sé che tutto questo porta a una crescita dei profitti e a un aumento della redditività; esiste, infatti, una stretta correlazione tra le strategie ambientali e gli obiettivi finanziari: è attestato che le aziende, maggiormente impegnate sul fronte della sostenibilità, ottengono un rendimento fino a due volte superiore rispetto alla media. Inoltre, la creazione di piani innovativi, finalizzati al miglioramento dell’efficienza energetica e alla riduzione dell’impatto ambientale, è diventato un importante criterio di valutazione aziendale, senza poi contare le agevolazioni economiche e gli incentivi fiscali che il governo sta mettendo a disposizione delle imprese,  per renderle più sostenibili. Nello specifico, nella Legge di Bilancio 2021 è stata introdotta una misura fiscale che mira a premiare tutti gli investimenti nell’ambito dell’industria 4.0 e di tutte le tecnologie a basso impatto ambientale. Ancora, quelle organizzazioni che adottano una strategia basata sulla sostenibilità, riescono ad attrarre risorse più valide e fidelizzarle nel tempo, con conseguenti vantaggi occupazionali. In effetti, la CSR (Corporate Social Responsability), che comprende anche la promozione di una cultura sostenibile all’interno di un’impresa, rappresenta un elemento strategico indispensabile per accrescere produttività e motivazione nei collaboratori, oltre a rendere l’azienda più appetibile sul mercato del lavoro. Infine, vanno considerati i vantaggi sulla concorrenza, dal momento che sempre più i consumatori tendono a preferire prodotti ottenuti attraverso un utilizzo consapevole ed efficiente di energia e realizzati con materiali a basso impatto ambientale, soprattutto a parità di prezzo e qualità.  E questo mette in una posizione di leadership tutte quelle imprese che adottano strategie e criteri sostenibili all’interno del loro processo produttivo.

E’ evidente, quindi, che la sostenibilità rappresenti un elemento nevralgico nella strategia operativa delle diverse organizzazioni, sia per la loro sopravvivenza e prosperità, sia come vantaggio competitivo. Di fatto, l’adozione di un modello di business sostenibile, oltre a rappresentare un forte segnale di innovazione che si ripercuote positivamente sui profitti e sul brand, è diventata una questione di vitale importanza, non più procrastinabile; non si sta parlando di qualcosa “nice to have”, ma di un imperativo a cui non ci si può più sottrarre, e alle aziende non resta che muoversi velocemente in questa direzione.

L'articolo è stato pubblicato a maggio su NewsImpresa

giovedì 13 aprile 2023

IL METAVERSO: UN UNIVERSO PARALLELO DA CONQUISTARE

TECNOLOGIA

di Maria Lanzetta

Il Metaverso, per quanto sia considerato il trend del momento, ha già alle sue spalle alcuni decenni e si porta con sé concetti, non ben definiti, legati a dimensioni di vita futuristiche. La ragione per cui oggi se ne parla sempre più insistentemente, è riconducibile all’inarrestabile progresso di Internet e delle diverse tecnologie immersive, la cui combinazione ci può portare in un universo ancora tutto da esplorare

La parola “metaverso” è una sorta di crasi tra il prefisso greco μετά, legato a concetti di mutamento, trasposizione e posteriorità, e il termine “universo”. Praticamente, si parla di un mondo che si colloca oltre la nostra normale e tradizionale dimensione umana.

Il concetto di Metaverso ha preso piede nel mondo della narrazione cyberpunk già agli inizi degli anni ‘90, che descrive un universo fantascientifico sopraffatto dalla tecnologia. Tuttavia, è tornato sotto i riflettori da un paio di anni e precisamente da quando Mark Zuckerberg ha ribattezzato “Facebook” in “Meta”, con l’ambizioso progetto di trasformare le sue piattaforme social in un mondo parallelo fatto di avatar che interagiscono fra loro, in una combinazione di realtà virtuale ed esperienze online. Ma relegare il concetto di metaverso all’ambito tipicamente “social” è un po’ troppo riduttivo, dal momento che si parla di un modo davvero rivoluzionario di fare esperienze oltre i limiti spazio-temporali.

Ma proprio perché stiamo parlando di qualcosa che deve ancora concretizzarsi in modo strutturato, l’idea stessa di metaverso è in continua evoluzione. Oggi, lo si può interpretare come uno spazio tridimensionale all’interno del quale le persone fisiche possono muoversi, collaborare e interagire, attraverso il proprio avatar; sostanzialmente, si tratta di un’ambiente di vita digitale, parallelo al mondo fisico nel quale si svolge invece la vita reale. Nel Metaverso le persone si muovono, lavorano, viaggiano fanno acquisti, si incontrano, mentre in realtà sono seduti alla scrivania del proprio ufficio o nella poltrona della propria abitazione: un mondo virtuale in 3D palpabile e tangibile come la vita vera, soltanto più grande e perfettibile, in cui delle versioni digitali di noi stessi si spostano liberamente da un’esperienza all’altra, portando con sé la nostra identità e il nostro patrimonio intellettuale ed economico. 

Le potenzialità del Metaverso
Secondo uno studio condotto da McKinsey nello scorso giugno (Value Creation in the Metaverse), nel 2022 il metaverso avrebbe raggiunto un valore che si attesta intorno ai 120 miliardi di dollari (esattamente il doppio rispetto all’anno prima) e, addirittura, si stima che entro il 2030 dovrebbe raggiungere i 5 trillioni di dollari. A quanto pare, dunque, siamo di fronte a un trend destinato a cambiare le abitudini di ogni persona in modo significativo, e non solo nell’ambito dell’entertainment e del gaming, ma anche e soprattutto nel mondo del lavoro. Non solo, il metaverso potrà avere anche un’importante valenza sociale, sia in termini di inclusività, non ponendo limiti culturali, raziali, di ceto o legati a disabilità, sia in termini di sostenibilità, abilitando spostamenti, viaggi e interscambi in modalità virtuale e immateriale. Si tratta di un ecosistema più democratico, costruito su tecnologie innovative ma potenzialmente alla portata di tutti, destinato a migliorare molti aspetti della quotidianità, se sapremo sfruttarlo cum grano salis, senza farci prendere troppo la mano!
In effetti, sono diversi gli ambiti in cui il metaverso potrà rappresentare in un futuro, neanche troppo lontano, un modo alternativo per vivere la nostra vita di ogni giorno a partire, per esempio, dal tempo libero, per cui ci sarà possibile vivere esperienze coinvolgenti in 3D, quali la partecipazione a concerti, manifestazioni sportive, mostre, cinema, teatro, eventi culturali e viaggi nella storia; così come anche le aree metropolitane potranno offrire servizi ai cittadini in modo più semplice, immediato e allo stesso tempo efficiente. Nel settore del retail, l’acquirente potrà vivere un’esperienza d’acquisto efficace e soddisfacente, in linea con i suoi desiderata, attraverso percorsi di shopping on-line guidati da un consulente virtuale, in grado di interagire con l’utente, esattamente come farebbe il commesso di un negozio fisico. Spostandoci, poi, in ambito medico/ospedaliero, l’applicazione del metaverso può davvero offrire un grande valore aggiunto, grazie all’utilizzo di tecnologie immersive e virtuali che, abilitando una forma di telemedicina, permetteranno di raggiungere anche i pazienti fisicamente più lontani, di interagire direttamente con loro, sia attraverso avatar sia con strumenti comandati a distanza. Ancora, il metaverso potrebbe diventare una soluzione rivoluzionaria anche in ambito formativo, grazie all’opportunità di apprendimento interattivo e immersivo che i nuovi materiali didattici, basati sulla realtà virtuale, potranno offrire agli studenti; non solo, ma permetterebbe di partecipare a corsi e lezioni a distanza, secondo un concetto che va ben oltre la fatidica DAD e i training on-line con tutti i limiti del caso. Infatti, frequentare scuola, università, master all’interno di un contesto di metaverso, consentirebbe di beneficiare contemporaneamente dei vantaggi dell’apprendimento in presenza e a distanza. Analogamente, si potrà pensare a un modello di azienda estesa, che superi il concetto di smart working, per passare a quello di un ambiente di lavoro ibrido costituito da spazi multifunzionali immersivi e di interazione reale-virtuale. 
In verità, nonostante siamo ancora agli albori, sono molte le imprese che oggi guardano al metaverso con una certa impellenza, e alcune stanno già cominciando a esplorare le sue possibili aree di applicazione, che potrebbe determinare un totale cambio di paradigma e un modo nuovo di fare business, modificando le dinamiche d’interazione tra aziende, consumatori, piattaforme web e all’interno dell’azienda stessa. Attualmente esistono già dei casi applicativi, quali spazi di ritrovo e sale riunioni virtuali in cui è possibile interagire e collaborare, anche attraverso l’utilizzo di ologrammi. Ma soprattutto, il metaverso aprirà la strada nel campo dell’Industria 4.0 a nuove applicazioni che consentiranno l’utilizzo di macchinari comandati a distanza, e lo stesso approccio si potrebbe adottare anche per il training on the job, con assistenti che saranno in grado di aiutare da remoto il personale impegnato a imparare nuove mansioni all’interno delle fabbriche.



Le tecnologie abilitanti
Alla creazione del metaverso concorrono un insieme di tecnologie che, combinate fra loro, ne costituiscono la struttura portante e ne abilitano il funzionamento: ciascuna di esse assolve a una funzione specifica e indispensabile per ottenere un risultato efficace. 
Si parte ovviamente dalla computer grafica e modellazione 3D, con cui è possibile costruire avar quanto più somiglianti all’essere umano e per creare una rappresentazione digitale tridimensionale di qualsiasi elemento; tali tecnologie sono fondamentali per conferire una dimensione realistica delle cose e del contesto con cui si ha a che fare. Queste vanno in continuità con il concetto di digital twin che rappresenta una replica digitale, un alter ego delle persone e delle cose in un universo parallelo a quello reale. In effetti, la grande sfida del metaverso è, appunto, quella di creare un ambiente digitale che sia sempre più simile al mondo reale, attraverso una versione digitale di persone in carne e ossa, oggetti, edifici e luoghi fisici. Un importate punto d’accesso al Metaverso è rappresentato poi dalla realtà virtuale (VR) che permette di creare l’ambiente immersivo, in cui gli utenti possono entrare attraverso visori, guanti e sensori. La realtà aumentata (AR) aggiunge, invece, elementi virtuali alla nostra esperienza reale, tramite l'uso di dispositivi come occhiali, smartphone o tablet; tali elementi, che possono essere visivi, uditivi e sensoriali, vanno a mescolarsi e integrarsi all’interno della nostra esperienza e della nostra realtà. Ruolo fondamentale è rappresentato dall’ Intelligenza Artificiale (AI), che fornisce informazioni utilizzabili per la definizione e la creazione di tutti gli elementi che popolano il metaverso, e per conferire agli avatar capacità simili a quelle umane, quali ragionamento, apprendimento, pianificazione e creatività. La stessa blockchain, inoltre, basata su un principio di decentralizzazione - caratteristica peculiare del metaverso -, svolge una funzione nevralgica, perché fornisce dispositivi di archiviazione sicuri, essenziali per il corretto funzionamento, impiegando token per memorizzare in modo sicuro i contenuti virtuali, i dati personali e le chiavi di autorizzazione. Altra tecnologia imprescindibile per la costituzione del metaverso è l’IOT (Internet Of Things), dal momento che abilita il processo di connessione a Internet di oggetti fisici di utilizzo quotidiano; l'implementazione dell'IOT, infatti, può collegare facilmente il mondo 3D ai dispositivi del mondo reale e ciò consentirebbe la creazione di simulazioni real-time all'interno del metaverso. Ora, perché tutto ciò sia possibile, è necessario un elevatissimo livello di connessione e qui subentra l’Edge Computing, che, con una latenza vicino allo zero, può consentire all’utente del metaverso di muoversi e interagire con un tipo di esperienza praticamente uguale alla realtà, garantendo un tempo di risposta ridotto a un livello inferiore a quello percepito dall’uomo. 

Dunque, il metaverso è un mondo digitale e immersivo in cui, in futuro, anche grazie ai Millenials, alla generazione Z  e successive, verosimilmente potremo trasferire una parte della nostra quotidianità.  Attualmente siamo in una fase embrionale, il cammino da fare è molto lungo e tortuoso, numerosi sono gli aspetti ancora da affrontare, fra cui innanzitutto una certa resistenza culturale  da parte della generazione dei boomer (sul viale del tramonto) che, a dispetto delle nuove tecnologie, preferiscono il contatto diretto, fisico ed emozionale. A ciò si aggiunge il fatto che le stesse tecnologie sono ancora da affinare e i costi legati agli investimenti nelle infrastrutture necessarie, attualmente, sono elevati. Così come sono ancora da risolvere questioni legate all'autenticazione dell'identità, al controllo della privacy e a una generale regolamentazione che copra aspetti legali, etici e sociali, non ultimo l’utilizzo di fake che generano falsa informazione su larga scala.

Quello che, intanto, possiamo fare è prepararci, informarci, acquisire competenze, non solo per non farci trovare impreparati all’avvento di questa nuova era, ma anche per essere in grado di beneficiare a pieno degli enormi vantaggi legati al metaverso e allo stesso tempo essere in grado di tenerne lontane le insidie.

analogo articolo pubblicato su NewsImpresa del 6 aprile 2023


Fonti:
Value Creation in the Metaverse – McKinsey report, giugno ‘22
EconomyUp
Network Digital360
Zeropixel
key4biz.it

 


venerdì 27 gennaio 2023

RACCONTARE AI GIOVANI TUTTE LE VERITA'

SCENARIO

di Maria Lanzetta

Lo scorso 9 novembre in occasione dell’anniversario della caduta del Muro di Berlino, per cui si celebra La giornata della Libertà, l’attuale Ministro dell’ Istruzione (scusate se non riesco a scrivere “e del Merito” in questo contesto!),  ha pensato bene di scrivere, pubblicare e far girare nelle  scuole (in verità a discrezione dei dirigenti) una lettera in cui, a parere mio, non si soffermava tanto sulla importanza di questo evento storico come segno di “abbattimento delle divisioni” e appunto di “libertà”, piuttosto sul fatto che esso abbia rappresentato il fallimento del comunismo. Nella lettera evidenzia in maniera chiara il concetto di comunismo come utopia il cui tentativo di realizzazione concreta ha comportato ovunque “annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte” (sua citazione). Poi dice ancora: “Perché infatti l’utopia si realizzi occorre che un potere assoluto sia esercitato senza alcuna pietà, e che tutto – umanità, giustizia, libertà, verità – sia subordinato all’obiettivo rivoluzionario. Prendono così forma regimi tirannici spietati, capaci di raggiungere vette di violenza e brutalità fra le più alte che il genere umano sia riuscito a toccare. La via verso il paradiso in terra si lastrica di milioni di cadaveri”.

Da libera cittadina e madre di un figlio che frequenta il liceo, ho trovato quest’iniziativa assolutamente scorretta perché, secondo me, è di fatto un bieco tentativo di fare indottrinamento politico in modo spudoratamente fazioso, quando in un paese democratico il compito  della scuola dovrebbe essere quello di aiutare i ragazzi a formarsi una propria coscienza politica e non quella di fare “lavaggi del cervello”. Insomma, parliamoci chiaro, dal mio punto di vista, il Ministro Valditara ha abusato del suo ruolo per indirizzare e condizionare gli orientamenti politici dei nostri ragazzi, individui che si stanno formando e si stanno costruendo una propria identità.

Oggi è la Giornata della Memoria e nelle scuole non è girata alcuna lettera che parli dell'orrore dell'Olocausto, dello scempio che hanno fatto nazisti e fascisti e come esso rappresenti una della pagine più cruente e spietate della storia dell’umanità! Sicuramente oggi e nei prossimi giorni Valditara sarà in prima linea in tutte le varie celebrazioni sulla Shoah.

Ma la lettera agli studenti oggi il Ministro non l'ha scritta. Ho detto tutto!

per conoscere il contenuto integrale della lettera sulla "Giornata della libertà" del Ministro Valditara segui questo link


sabato 22 ottobre 2022

RIFLESSIONI SUL NUOVO GOVERNO!

SCENARIO

di Maria Lanzetta

Il nuovo governo si è insediato: Giorgia Meloni ha giurato, la lista dei ministri è al completo, dunque il dado è tratto! A questo punto possiamo solo tacere e raccoglierci in un religioso silenzio, dopo aver tanto blaterato!

E' da un po' che ho preso le distanze dagli schieramenti politici. Cerco di dare la mia preferenza alle persone che mi ispirano fiducia. Governare non è facile. Tutti siamo buoni a sentenziare dai nostri divani o davanti a un aperitivo. I passati governanti hanno fatto delle cose buone, altre no. Hanno fatto anche degli errori: chi non li fa? L'uniche cose su cui non si dovrebbe transigere mai sono disonestà, incoerenza, opportunismo e non rispetto della democrazia. Per questo ho apprezzato alcune cose di Conte pur non condividendone altre (vedi reddito di cittadinanza così com'è), lo stesso per Draghi, idem per Renzi, sebbene un po' "borderline".

Una sola considerazione sul cambio dei nomi dei ministeri, credo, sia soltanto una questione di cosmesi ... Certo mi fa sorridere il “Ministero del Made in Italy” suona un po’ come un ossimoro: ovvero priorità alla produzione italiana, però lo diciamo in inglese! Mussolini avrebbe tirato le orecchie alla Meloni per questo!!!


Circa la Meloni, tutta la mia fiducia fino a prova contraria. E' una donna e ne sono orgogliosa come parte della categoria, è giovane e speriamo porti un po' di freschezza ... che dire "speriamo che faccia bene", e vado oltre le mie inclinazioni politiche di base. Noi, dal nostro canto, dobbiamo fare la nostra parte, come cittadini onesti, lavoratori responsabili e nella nostra piccola quotidianità: suona come buonismo? Sembra un'omelia? Sembra una posizione troppo "democristiana"? (mai votato DC nella mia vita!) NO, è solo concretezza e pragmatismo!

Basta parlare con la terza persona plurale quando le cose vanno male e usare la prima quando qualcun altro fa qualcosa di buono e di successo.
Ognuno faccia il suo!


martedì 6 settembre 2022

IL FUTURO DELLA LEADERSHIP È MULTIMODALE

BUSINESS E STRATEGIA

di Maria Lanzetta

Come è ormai noto l’era Covid ha segnato una svolta decisiva nei diversi contesti lavorativi, determinando il passaggio a modelli operativi ibridi, che richiedono l’acquisizione e lo sviluppo di nuove competenze da parte del management nella gestione dei team e delle diverse attività

E’ infatti assodato come la pandemia abbia accelerato un percorso di trasformazione - che era incominciato lentamente già nel periodo pre-COVID19 - nelle modalità di gestione e svolgimento delle attività lavorative all’interno di un organizzazione, sia a livello individuale sia di team, portando sempre più le aziende ad adottare un approccio di organizzazione “ibrido”, ovvero una equilibrata combinazione di lavoro a distanza e in presenza, basato su una cultura aziendale condivisa e innovativa. 

Questo nuovo modello, che tenderà a prendere sempre più piede nel futuro post-pandemico, richiederà una diversa concezione di leadership, la quale si costruirà su nuove competenze e nuove capacità che i futuri manager dovranno necessariamente acquisire e sviluppare. Infatti, la grande abilità dei nuovi leader aziendali sarà, da un lato, quella di fissare obiettivi, monitorare il work-in-progress, verificare i risultati in modo virtuale, utilizzando tutte le tecnologie digitali a disposizione; dall’altra parte, però, dovranno essere in grado di gestire in presenza relazioni e confronti “vis-à-vis”, sia a livello di singolo individuo, sia nel contesto di un gruppo, continuando a far leva su metodi e strumenti più tradizionali. Dunque, la grande sfida del management del terzo millennio consisterà nel adottare i due diversi approcci in modo armonico e in continuità l’uno con l’altro.

Affinché questa modalità ibrida funzioni e sia efficace, sarà fondamentale stabilire a monte quali attività possono essere svolte virtualmente, quindi a distanza, e quali necessitano invece di una presenza fisica in un luogo di lavoro condiviso. Nel primo caso si tratterà fondamentalmente di task che non richiedono particolare interazione, per esempio redazione di report, preparazione di documenti, analisi finanziarie, ovvero tutte quelle attività che un collaboratore può svolgere in autonomia, gestendosi da solo tempi, luoghi e modalità. A queste, poi, si altereranno momenti di confronto e condivisione, per i quali la compresenza agevolerà l’interazione, il dialogo, il confronto e l’integrazione all’interno del team. Esistono, infatti, tutta una serie di aspetti che per un manager possono essere gestiti in modo più efficace all’interno di uno spazio  e di un contesto “fisico”, in modo particolare quando entrano in gioco fattori legati alla sfera emotiva e caratteriale dei propri collaboratori, essenziali per creare il giusto spirito di squadra, per adottare un approccio di problem solving condiviso, per gestire eventuali conflitti all’interno del team e, soprattutto, per costruire una cultura aziendale collettiva e sviluppare un comune spirito di appartenenza.


Quando è ancora necessaria la presenza fisica?

Di fatto, attualmente la tecnologia ci permette di svolgere le nostre mansioni lavorative in modo più flessibile e autonomo, scegliendo luogo e orari senza essere necessariamente legati al concetto dell’ “andare in ufficio”. Tuttavia ancora oggi ci sono dei fattori legati alla nostra operatività e alle nostre perfomance che richiedono una presenza fisica all’interno del luogo di lavoro, questo appunto per garantirne una maggiore efficacia ed efficienza.

Il primo fattore riguarda la collaborazione, che non consiste semplicemente nell’allineamento e  coordinamento tra i diversi membri di un team, ma significa soprattutto stabilire empatia, comprensione e fiducia reciproche, costruire relazioni attraverso gestualità, sensazioni epidermiche, sguardi, strette di mano, azioni rituali, quali per esempio, prendere un caffè o fare una pausa pranzo insieme. Tutti elementi che hanno un ruolo fondamentale per creare un clima collaborativo. Spazi e tempo condivisi “in presenza” costituiscono, inoltre, un contesto aziendale favorevole e stimolante per l’innovazione, la quale tipicamente richiede brainstorming, condivisione di best practise e,  in generale, attività empiriche e pragmatiche da mettere a fattor comune all’interno di un gruppo di lavoro. Stesso discorso vale per agevolare, come si diceva prima, una completa integrazione culturale, la quale indubbiamente richiede periodi di interazione face-to-face, un reciproco studio delle diverse personalità dei singoli individui appartenenti allo stesso team, un’analisi da parte del management di attitudini, punti di forza e di debolezza dei propri collaboratori; in questo caso una chiara definizione di regole e procedure, in base a cui costruire un'identità condivisa, costituisce il punto di partenza. Tutto questo diventa fondamentale per stimolare, il più possibile, all’interno di un’organizzazione coinvolgimento e dedizione, derivanti  dal fatto di avere obiettivi comuni e di sentirsi parte di una collettività, dove ciascuno abbia l’opportunità di esprimere le proprie potenzialità e di crescere professionalmente.

I diversi ruoli dei leader del terzo millennio

In questo scenario appare evidente che le caratteristiche di leadership dei nuovi manager subiranno una profonda trasformazione, e questo innovativo modello di lavoro multimodale richiederà nuove competenze e capacità gestionali, per poter guidare efficacemente e con successo team e singole persone, in una modalità ibrida.

Nel MIT Sloan Management Review del 2021 sono state individuate quattro funzioni specifiche – i 4C Roles - che i nuovi manager dovranno imparare a svolgere, ovvero:

Conduttore. Un ruolo di leadership che si può svolgere in modalità virtuale; la sua funzione consiste fondamentalmente nel fare in modo che piani, decisioni, informazioni e risultati siano condivisi, per poter coordinare efficacemente e motivare i diversi membri del team. Il ruolo è simile a quello di un direttore d’orchestra che guida i diversi musicisti in modo tale che suonino bene individualmente e in armonia. In questo caso, i manager devono farsi carico della definizione degli obiettivi e della pianificazione, sono responsabili dei processi decisionali e del coordinamento delle diverse attività. Sarà loro compito, inoltre, monitorare il work-in-progress e fornire supporto all’occorrenza,  facilitando l’interazione e il coinvolgimento tra i membri del team, e aiutare a costruire fiducia reciproca. Per avere successo in questo ruolo, i leader devono trovare il giusto equilibrio tra la capacità di far sentire la propria presenza e quella di consentire ai propri collaboratori di lavorare autonomamente. Durante la pandemia è emerso quanto siano estenuanti le lunghe e infine videochiamate, pertanto dovranno avere la capacità di ottimizzare e rendere efficiente al massimo l’utilizzo delle piattaforme digitali.

Catalizzatore. Tale funzione è fondamentale per stimolare la creatività e incoraggiare l'innovazione, attraverso un’integrazione culturale tra i vari membri del team e generando un alto livello di  engagement da parte di ciascuno. A questo scopo, i manager devono fare in modo che i propri collaboratori abbiano fiducia nelle proprie capacità e raggiungano un adeguato equilibrio piscologico ed emotivo. Tutto ciò consente loro di facilitare  un dialogo e un confronto creativo, evitando scontri e incomprensioni quando si hanno idee diverse o nei momenti di difficoltà. Il catalizzatore, dunque, avrà un ruolo fondamentale  per far emergere i talenti di ciascuno, mettendoli a fattor comune durante l’intero processo.

Coach. Questo ruolo entra in gioco, in particolare, nel rapporto uno-a-uno, sia a distanza sia in presenza. In pratica, consiste nello stimolare i singoli a raggiungere il  massimo delle loro prestazioni, infondendo fiducia in se stessi e concentrandosi sia sul loro benessere personale sia sullo sviluppo professionale. Per svolgere tale funzione, è necessario che il manager sia dotato di un alto livello di intelligenza emotiva, di empatia e della capacità di  incoraggiare le persone a spingersi oltre i confini. Il coach dovrà, dunque, motivare la persona a gettare “il cuore oltre l’ostacolo”, facendo leva sulla sua ambizione e sulla sua propensione alla sfida.

Champion. Partendo dal presupposto che i ruoli di Conduttore, Catalizzatore e Coach implicano tutti un rapporto gerarchico tra manager e collaboratori, quello del Champion si posiziona a latere del team, con l’obiettivo di sostenerlo,  motivarlo e incoraggiarlo. Nella pratica, fa da supporto al gruppo di lavoro, procura strumenti e informazioni utili per lo svolgimento delle attività, fornisce feedback e risultati, contribuendo  a costruire un clima di fiducia reciproca fra i diversi stakeholder. Il ruolo di Champion, quindi, richiede capacità di negoziazione e allo stesso tempo abilità nel costruire alleanze, deve avere influenza senza autorità formale ed esercitare un certo ascendente sul team. Anche in questo caso si opera sia in presenza, sia a distanza.

La fiducia alla base del nuovo paradigma

Il filo conduttore, che collega queste quattro funzioni, è nella capacità dei manager di sviluppare nei propri collaboratori la fiducia in se stessi, i quali a loro volta dovranno imparare a potersi “fidarsi” l’uno dell’altro, attraverso la guida dei loro stessi manager; è fuori dubbio che la modalità di “smart working” renda questo più difficile da attuare.  Molte aziende, infatti, si sono dimostrate restie fino ad ora ad adottare il lavoro a distanza, perché non si fidavano completamente dei propri dipendenti, e questi ultimi non erano messi in condizioni di avere visibilità su quanto veniva svolto dai propri colleghi/pari. A questo si aggiungeva anche una certa riserva da parte della direzione circa la capacità dei manager stessi di saper monitorare a distanza le attività dei propri collaboratori. Poi è arrivata la pandemia che ha costretto le aziende a rivedere completamente il loro modello organizzativo. Questo nuovo paradigma richiede, infatti, un cambio radicale di mentalità, in base a cui la fiducia, a tutti i livelli, diventa un elemento essenziale per una leadership multimodale: ciò è possibile solo creando una nuova cultura aziendale, basata su onestà intellettuale, ambizione e allo stesso tempo umiltà, trasparenza, condivisione ed empatia, non perdendo mai di vista le peculiarità caratteriali e le diverse personalità di ciascuno.

Siamo a una svolta, dunque, il leader del futuro ha di fronte a sé una grande sfida, ma anche una grande opportunità nel costruire un nuovo modello di lavoro, più sostenibile ma molto più efficiente rispetto al passato.

Fonte: MIT Sloan Management Review 2021

pubblicato similmente anche su NewsImpresa


lunedì 24 gennaio 2022

IL FENOMENO DELLE “BIG RESIGNATION” HA SORVOLATO L’OCEANO, HA RAGGIUNTO L’EUROPA E STA ARRIVANDO IN ITALIA

SCENARIO

di Maria Lanzetta

Le “Grandi Dimissioni” post-pandemia sono partite in America già dall’inizio del 2021, ma tra aprile e settembre dello scorso anno, si è assistito a un vero e proprio esodo di massa che ha visto oltre 24 milioni di dipendenti in USA lasciare il proprio posto di lavoro. Ma sembrerebbe che il fenomeno stia prendendo progressivamente piede anche in Europa e in Italia. Ridefinire la “nuova normalità” all’interno di un workspace ibrido potrebbe essere la soluzione per frenare questo trend.

Però, se è vero che lo smart working ha i suoi lati positivi (maggiore flessibilità nell’autogestione del lavoro, abbattimento dei costi di trasporto e di gestione degli spazi fisici,  maggiore equilibrio tra vita professionale e vita privata), è vero anche che il lavoro in ufficio ha un impatto positivo sul benessere mentale dei dipendenti, sulla socialità, sulla capacità di confronto e condivisione, soprattutto dopo questo lungo periodo di restrizioni e chiusure. L’ufficio, dunque, deve continuare ad ad avere un ruolo fondamentale. Di fatto in futuro sarà inevitabile che le persone lavorino sia a distanza sia in presenza: il giusto mix 
Chi lo avrebbe mai detto che anche nel nostro Paese, dove ha sempre imperato la cultura del posto fisso, il fenomeno delle «Grandi dimissioni» avrebbe cominciato a contaminare anche gli italiani! E non si tratta solo di top manager che, dopo anni di immersione totale nel business a fronte di stipendi da capogiro, decidono di tirare i remi in barca e di “godersi la vita”, ma ciò sta avvenendo anche a livello impiegatizio e addirittura nell’ambito della mano d’opera industriale.
Un fenomeno confermato dai dati del Ministero del Lavoro che, in un’analisi per il periodo compreso tra aprile e novembre 2021, ha comunicato che le dimissioni volontarie sono pari a 1.195.875 , con un aumento del 23,2% rispetto allo stesso periodo del 2019.
Diversi sono gli studi che stanno analizzando il problema - se problema si può definire -, e sembrerebbe che le ragioni siano diverse e profonde e che riguardino sia la sfera personale, sia quella economica: si cercano lavori migliori, meglio pagati e più sostenibili. Attenzione, però, non si tratta semplicemente di un prevedibile effetto rimbalzo post-pandemia, nel senso che il fisiologico turnover tipico di ogni azienda si è bloccato durante i vari lockdown e poi è esploso in modo massiccio nel periodo successivo, ma di qualcosa di più complesso e radicale. In realtà, quello che oggi spinge in tanti a lasciare il proprio lavoro dipende da un insieme di fattori: sicuramente ha pesato moltissimo, come conseguenza della pandemia,  una rivalutazione del valore del tempo libero e della famiglia e, contestualmente, una presa di coscienza circa condizioni lavorative, talora, troppo pesanti in termini di ore e di pressione psicologica. A questo si è aggiunto, dopo un periodo di congelamento, anche una forte e aumentata domanda delle aziende in diversi settori e, di conseguenza, una maggiore offerta per alcune categorie di lavoratori, che si sono trovati nelle condizioni di poter scegliere di cambiare posto di lavoro, a fronte di una proposta economica più allettante e di mansioni più gratificanti.


Quanto ha influito l’adozione dello Smart Working?
Senza dubbio, a innescare questa tendenza ha contribuito in maniera rilevante anche l’ampia diffusione dello smart working, una modalità di lavoro che prima della pandemia era ancora poco diffusa tra le aziende italiane. Nel 2020 i lavoratori, in effetti, malgrado le restrizioni dettate dai diversi lockdown, hanno avuto modo di apprezzare molti aspetti positivi  del lavoro flessibile e a distanza, quale la drastica riduzione dei tempi di spostamento casa-lavoro; la possibilità di vivere maggiormente la propria famiglia e i propri affetti nella quotidianità, cosa che prima era relegata alle ore serali, ai week-end e alle ferie; riuscire a ritagliarsi del tempo per coltivare passioni e interessi personali. Insomma, le persone hanno scoperto che può esistere una nuova modalità di lavoro, lontana dai ritmi frenetici e alienanti di un tempo, ma altrettanto – se non maggiormente – produttiva. A fronte di tutto ciò, oggi, i lavoratori non vogliono più rinunciare a questi benefici e, in virtù di questo, sono anche disposti ad abbandonare il proprio posto di lavoro, se le aziende non dovessero continuare a concedere questa flessibilità. Dunque, dopo due anni di instabilità economica e sociale, la gente è disposta a lasciare il certo per l’incerto, se questo significa maggiore serenità e maggiore attenzione per la propria salute.
Tutto ciò è assolutamente comprensibile, ampiamente condivisibile, ma il rischio che si corre è che si vada verso un impoverimento generale, una precarietà e vulnerabilità del nostro tessuto economico e sociale, a discapito soprattutto delle categorie meno abbienti.

Cosa fare per contenere questa tendenza?
In questo periodo si è spesso sentito parlare di “New Normal”, ovvero un nuovo paradigma di normalità che riguarda nuovi comportamenti, abitudini  e tendenze adottate a seguito di un periodo di crisi, che differiscono da un precedente status quo. Non si tratta di un modello transitorio fino a quando si ristabilisca la “vecchia normalità”, visto che questa ormai appartiene al passato, ma di un nuovo assetto che porta con sé moltissime delle consuetudini che abbiamo creato, metabolizzato e fatto nostre durante questo periodo di pandemia. Ed è con questi nuovi parametri che le aziende e i datori di lavoro devono fare i conti, a incominciare dallo Smart Working, una modalità di lavoro resasi necessaria durante l’era Covid, ma che ormai fa parte di noi e che non potrà essere accantonata.
Però, se è vero che lo smart working ha i suoi lati positivi (maggiore flessibilità nell’autogestione del lavoro, abbattimento dei costi di trasporto e di gestione degli spazi fisici,  maggiore equilibrio tra vita professionale e vita privata), è vero anche che il lavoro in ufficio ha un impatto positivo sul benessere mentale dei dipendenti, sulla socialità, sulla capacità di confronto e condivisione, soprattutto dopo questo lungo periodo di restrizioni e chiusure. L’ufficio, dunque, deve continuare ad ad avere un ruolo fondamentale. Di fatto in futuro sarà inevitabile che le persone lavorino sia a distanza sia in presenza: il giusto mix sarà l″hybrid workplace’, ovvero un nuovo modo di lavorare tra esperienza fisica e digitale.
Combinare lavoro in presenza e lavoro a distanza sarà, dunque, il trend del futuro. Ma bisogna imparare a farlo bene: Il vero smart working consiste nel dare alle persone la flessibilità e gli strumenti per poter lavorare a casa, in ufficio o in qualsiasi altro luogo, ma il punto chiave è trovare il giusto bilanciamento tra attività in presenza e attività remota, tra esperienza fisica e digitale. Non c’è una ricetta uguale per tutti, dipende dalle singole persone e dal tipo di azienda.
In questo scenario, il modo con cui le aziende e i loro dirigenti guardano alla gestione delle risorse umane è diventato centrale e investire nella qualità della comunicazione fra manager, team e dipartimenti aziendali è fondamentale per rimanere allineati e trasmettere un sentimento di inclusione, a beneficio di una maggiore motivazione, qualità del lavoro, produttività e, quindi, di una maggiore fidelizzazione dei dipendenti verso l’azienda e i datori di lavoro.

Stesso articolo pubblicato anche su NewsImpresa


mercoledì 1 settembre 2021

LE NUOVE SFIDE NEL SETTORE DELLA MOBILITÀ: DALL’ERA MECCANICA A QUELLA ELETTRICA

TECNOLOGIA


di Maria Lanzetta

Ormai sono numerosi gli studi che confermano un dato allarmante evidenziato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS): l’inquinamento atmosferico uccide circa 7 milioni di persone all’anno in tutto il pianeta, soprattutto a causa delle emissioni di anidride carbonica che ormai quasi ovunque superano i limiti previsti. 

Ma quali sono i principali responsabili delle emissioni di CO2? Industria, consumi energetici domestici e trasporto, in modo particolare quello su strada: i veicoli “tradizionali” risultano essere il mezzo più inquinante in assoluto.  La conferma di questo è il dato di fatto che durante il lockdown, quando tutti eravamo chiusi in casa, la qualità dell’aria era nettamente migliorata. Ma forse questo ormai lo sappiamo da un po’: non avevamo certo bisogno del Covid per accertarlo! Eppure, ancora non siamo arrivati a una svolta risolutiva, per quanto poi già da diversi anni si è compreso che una delle soluzioni per ridurre l’inquinamento atmosferico e le emissioni di gas serra è rappresentata dai veicoli elettrici, una tecnologia che potrebbe portare a importanti sviluppi futuri per la creazione di un mondo più sostenibile, ma su cui ci sono ancora diverse questioni aperte, fondamentalmente legate ai costi finora molto alti, all’autonomia – in termini di durata e ricarica delle batterie - del veicolo stesso e, forse, a una certa resistenza da parte della stessa industria automobilistica con relativi OEM e fornitori.

Indubbiamente l’industria dell’auto ha subito, negli ultimi dieci anni, una mutazione profonda: una certa sensibilizzazione al problema della sostenibilità ambientale, del riscaldamento globale e una nuova attenzione verso uno stile di vita più sano ha portato l’uomo, se non proprio a fare a meno dell’auto, a metterne in discussione l’utilizzo, tendendo a ridurlo e a cercare soluzioni alternative. Possedere un auto di grande cilindrata con un motore “rombante”, non è più uno status symbol, come lo è stato negli ultimi tre decenni scorsi. Quindi, necessariamente il mercato dell’automotive deve reinventarsi e riproporsi in maniera innovativa, puntando sia sulla creazione di veicoli efficienti e alternativi, sia su un modello di business diverso (pensiamo, per esempio, al car sharing). L’industria automobilistica si trova, dunque, di fronte a sfide e opportunità in termini di innovazione tecnologica senza precedenti, se sarà capace di interpretare i cambiamenti e i nuovi bisogni della società.

Questo stravolgimento epocale evidenzia la necessità di migliorare i sistemi di progettazione e i processi di ingegneria attuali che, di fatto,  sono il risultato di cento anni di evoluzione del settore automobilistico; richiede nuovi strumenti in grado di lavorare in sintonia con le attività di produzione e i fornitori per garantire maggiore qualità, sicurezza e affidabilità per i nuovi veicoli.

Che ne sarà di tutte le aziende che fino ad ora hanno ruotato intorno al mondo dell’automobile?

Le vetture elettriche possiedono molti meno componenti rispetto a quelle a carburante e richiedono meno lavoro manuale. Tutto ciò che oggi i meccanici offrono agli automobilisti, non servirà più alle auto azionate da energia elettrica, saranno aboliti il grasso lubrificante, i filtri del motore, la sostituzione delle candele o il semplice cambio dell’olio.

Non esisterà più il concetto del “portare la macchina dal meccanico”, quanto piuttosto quello di andare presso centri specializzati che forniranno servizi, eseguiranno aggiornamenti di software e installazioni di nuove App e, certo, si occuperanno della sostituzione degli pneumatici, ma in generale cambiano completamente le competenze richieste, approccio e metodologia di intervento.

Cosa succederà, dunque, alla vasta filiera di OEM e fornitori  che fino ad oggi hanno sviluppato e fornito tutta la complessa componentistica legata all’auto?

La risposta è fin troppo ovvia: o soccombono o si reinventano.
Si tratta, infatti, di una modificazione quasi genetica, uno vera e propria mutazione del DNA dell’auto!

A questo riguardo l’ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) è andata ad analizzare  i cinque domini propri dell’industria dell’automobile - powertrain, telai, interior, exterior  ed elettronica – per poter tracciare una possibile evoluzione di questi ambiti nei prossimi dieci anni.  Quello che emerge in maniera chiara è la netta  discontinuità rispetto al passato in ambito powertrain, in quanto più dell’85% dei componenti diventerà obsoleto, anche in considerazione del fatto, come si è detto, che la vettura elettrica ha un numero di componenti decisamente inferiori rispetto a quella tradizionale (si passerà da 1400 componenti a 200 circa), in compenso verranno introdotte nuove  piattaforme completamente integrate per la trasmissione. Ancora, alcuni componenti tradizionali dovranno necessariamente subire un’evoluzione, quali i sistemi di raffreddamento e trasmissione, per rispondere ai nuovi requisiti richiesti dalla configurazione ibrida e dalle batterie. Nei veicoli ibridi, per esempio, lo stesso motore a combustione interna deve essere ridotto di dimensioni, mentre le diverse parti delle vetture quali ruote, pneumatici, freni, sospensioni devono essere in linea con le nuove caratteristiche dei veicoli elettrici. Allo stesso tempo, verranno introdotti nuovi componenti quali appunto batteria elettrica - cuore pulsante delle automobili full electric -, elementi elettronici vari e, ovviamente, motore elettrico, con degli standard tecnologici più sofisticati.

Indubbiamente, la connettività della vettura rappresenterà un fattore chiave e abilitante delle nuove funzionalità del veicolo; questo determinerà una significativa evoluzione delle caratteristiche della plancia e dei comandi in termini di Human Machine Interface, di accesso alle informazioni necessarie per la guida autonoma, di centraline molto più efficienti nella capacità di elaborare i dati in tempo reale e di interazione attraverso il cloud, oltre a un forte focalizzazione sulla cyber security e relativi sistemi antifurto “smart”.  Le vetture del prossimo futuro, inoltre, saranno sempre più dotate di sensori, videocamere e radar che permetteranno notevoli livelli di autonomia e di controllo del veicolo stesso, a costi sempre più accessibili.
Un altro aspetto estremamente importante è legato all’esperienza a bordo, infatti il crescente interesse da parte degli utenti verso la guida autonoma, spinge gli OEM verso l’ottimizzazione degli stessi  interni che dovranno essere pensati per soddisfare le esigenze dei conducenti e dei passeggeri durante il viaggio, progettando veicoli a configurazione variabile, a seconda del tipo di utilizzo e di utilizzatore del veicolo. In tutto ciò, il ruolo del software sarà nevralgico e rappresenterà l’elemento differenziatore tra i vari OEM, in quanto è quello che va a influire molto sull’esperienza a bordo. 

Come conseguenza di tutto ciò inoltre, come si accennava all’inizio, l’avvento del veicolo elettrico determinerà la nascita di nuovi servizi quali per esempio sistemi di ricarica rapida, soprattutto nell’ottica di lunghe percorrenze, o di riciclaggio delle batterie, dando così vita a nuovi mercati.

Quindi, alla luce di quanto emerge dalle diverse analisi e studi di mercato, è evidente che questa svolta epocale nell’industria dei trasporti, che vede una progressiva transizione dalla meccanica all’elettrico, può rappresentare una grande opportunità per molte aziende – a tutti livelli – in questo settore: tutto sta nel decidere di affrontare il cambiamento senza esitazioni, avendo la capacità di reinventarsi, innovarsi, acquisendo nuove competenze,  ampliando i propri orizzonti e adottando nuovi modelli di business.

Lo stesso articolo è stato pubblicato anche su NewsImpresa - MindUp Pentaconsulting